Domande Frequenti2020-07-05T10:14:44+00:00
Ausiliari dell’appaltatore: possono ottenere il compenso direttamente dal committente?2019-02-18T13:15:37+00:00

L’art 1676 c.c. recita testualmente: “Coloro che, alle dipendenze dell’appaltatore, hanno dato la loro attività per eseguire l’opera o per prestare il servizio possono proporre azione diretta contro il committente per conseguire quanto è loro dovuto, fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso l’appaltatore nel tempo in cui essi propongono la domanda”.

La norma appena richiamata prevede, dunque, che il committente è tenuto a pagare direttamente gli ausiliari dell’appaltatore nei limiti di quanto dovuto all’appaltatore stesso per l’esecuzione dell’opera.

Va però detto che i soggetti legittimati a proporre l’azione di cui all’art. 1676 c.c. sono solo coloro che hanno prestato la propria attività alle dipendenze dell’appaltatore, restando perciò esclusi il subappaltatore, il libero professionista o il prestatore d’opera.

A titolo esemplificativo si richiama il seguente principio giurisprudenziale: “l’azione diretta proposta dal dipendente dell’ appaltatore contro il committente per conseguire quanto gli è dovuto, fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso l’ appaltatore al momento della proposizione della domanda, è prevista dall’art. 1676 c.c. con riferimento al solo credito maturato dal lavoratore in forza dell’attività svolta per l’esecuzione dell’opera o la prestazione del servizio oggetto dell’appalto, e non anche con riferimento ad ulteriori crediti, pur relativi allo stesso rapporto di lavoro” (Corte di Cassazione, Sez. Lav., 19 novembre 2010 n. 23489).

L’azione proposta ex art. 1676 c.c. non trova ostacolo neppure nell’eventuale sopravvenuto fallimento dell’appaltatore, in quanto si tratta di azione diretta tra terzi rispetto al fallito e, quindi, non soggetta alla disciplina imposta dall’art. 52 Legge Fallimentare, la quale assoggetta alla regola della par condicio creditorum solo le azioni e i diritti contro il fallito.

Chi deve fornire la materia se le parti non hanno stabilito nulla in merito?2019-02-18T13:15:03+00:00

materiali occorrenti all’esecuzione dell’opera vanno, di regola, forniti dall’appaltatore.
Pertanto, se il committente assume di aver fornito la materia e richiede che il relativo valore venga detratto dal corrispettivo dovuto all’appaltatore, ha l’onere di provare l’esistenza di convenzioni o di usi che gli imponevano di fornirla.
Inoltre, relativamente alle contestazioni sulla materia utilizzata, appare utile richiamare un sentenza della Cassazione che, seppur remota, ha fissato un principio mai posto in discussione: “la responsabilità dell’ appaltatore per difformità e vizi dell’opera (art. 1667 c.c.) non può essere aprioristicamente esclusa sol perché la materia sia stata fornita dal committente, in quanto l’art. 1663 c.c. fa obbligo all’ appaltatore, quale tecnico dell’arte, di dare pronto avviso al committente dei difetti della materia da costui fornita se essi si scoprono nel corso dell’opera e possono comprometterne l’esecuzione. Tanto meno detta responsabilità può essere esclusa allorquando, anche indirettamente, a fornire la materia sia stato l’ appaltatore e il committente si sia limitato a scegliere, tra vari tipi di materiale, tutti rientranti nella previsione contrattuale, quello da impiegare nella costruzione dell’opera a lui destinata” (Corte di Cassazione, Sez. II, 13 febbraio 1987 n. 1569).

Incidente con auto non mia: posso agire contro l’assicuratore del proprietario?2019-02-18T13:14:19+00:00

Generalmente la legittimazione attiva alla richiesta del risarcimento dei danni (ovvero il potere di poter chiedere il risarcimento stesso all’assicuratore) spetta al proprietario dell’automezzo e non al suo conducente.
Sul punto, si ritiene di fondamentale importanza il richiamo di un recente principio giurisprudenziale: “in tema di risarcimento del danno derivato da circolazione stradale, la richiesta di risarcimento dei danni subiti può essere legittimamente avanzata dal detentore del autoveicolo intestato ad un terzo, ma deve dimostrare che tali danni abbiano inciso nella propria sfera patrimoniale. A questo fine non è sufficiente la prova dell’esistenza d’un titolo che obblighi il detentore a tener indenne il proprietario del veicolo, ma è anche necessario provare che in base a quel titolo l’obbligazione è stata adempiuta, sì che il proprietario non possa pretendere d’essere ancora risarcito dal terzo danneggiante” (Corte di Cassazione, Sez. III, 26 ottobre 2009 n. 22602).

Cellulari in comodato: che cosa vuol dire?2019-02-18T13:13:33+00:00

Il comodato è un contratto reale, essenzialmente gratuito, attraverso il quale una parte (comodante) consegna all’altra parte (comodatario) una cosa mobile (ad esempio, un telefono cellulare) o immobile affinché quest’ultima se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con l’obbligo di restituirla alla scadenza del termine convenuto o, in mancanza di termine, quando cessa di servirsene in conformità a quanto stabilito nel contratto.

Considerata la natura reale del comodato e la diversa disciplina rispetto ai contratti di natura consensuale, il suo perfezionamento si verifica nel momento in cui la cosa viene consegnata al comodatario.

Per la validità del contratto non è richiesta la forma scritta.

L’uso per il quale la cosa viene concessa in comodato può essere specificamente determinato e limitato nel contratto oppure, in mancanza di specifica previsione, si farà riferimento all’uso ordinario in relazione alla natura del bene stesso.

Per quanto riguarda la durata, anch’essa può essere determinata per volontà delle parti, le quali possono anche convenire clausole di estendibilità della durata per periodi successivi alla scadenza del primo termine convenuto.

Va altresì ricordata la voce del diritto vivente, ossia la giurisprudenza, secondo la quale “nel contratto concluso tra il consumatore ed il gestore del servizio telefonico, sono abusive ex art. 1469 bis c.c., e vanno inibite, le clausole che: (a) impongono al cliente, dietro pagamento di una penale di euro 30, l’obbligo di effettuare almeno 60 minuti di traffico in entrata ogni mese; (b) la clausola che preveda, in caso di smarrimento del telefono concesso in comodato dal gestore, una penale di euro 240 destinata a crescere in caso di ulteriori smarrimenti; (c) la clausola che concede al gestore il diritto unilaterale di recesso in caso in cui il cliente non effettui, per tre mesi consecutivi, un traffico minimo di 10 minuti per ciascun mese” (Tribunale di Roma, 12 aprile 2000).

Problema non risolto: ho automaticamente diritto ad un risarcimento?2019-02-18T13:12:31+00:00

Non automaticamente.

Difatti la prestazione del medico deve essere valutata sotto il profilo della speciale diligenza che l’appartenenza ad una determinata categoria professionale gli impone.

Solo la violazione di tale standard dà adito a responsabilità e, tra le violazioni, va ricondotta anche quella del dovere d’informare (consenso informato).

E’ del tutto evidente ed è cosa ovvia che la responsabilità professionale del medico di cui si discute si ricollega alla obbligazione che egli assume, nei confronti del cliente, di eseguire un determinato trattamento medico-chirurgico, che generalmente si distingue in tre diversi momenti: la diagnosi, la scelta della terapia e la sua attuazione.

Nel caso di intervento di particolare difficoltà “anche se l’esecuzione dell’intervento richiede un impegno tecnico-professionale speciale, il medico chirurgo ha l’obbligo di adottare tutte le precauzioni per impedire prevedibili complicazioni e di adoperare tutta la scrupolosa attenzione che la particolarità del caso richiede, secondo la prudenza e la diligenza esigibili dalla specializzazione posseduta. Pertanto il medico risponde anche per colpa lieve per l’inosservanza di tali obblighi” (Corte di Cassazione, Sez. III, 28 settembre 2009 n. 20790).

Medico superficiale: posso esperire un’azione legale?2019-02-18T13:16:40+00:00

Certamente.
La legge prevede che il professionista utilizzi nel proprio lavoro una diligenza commisurata alla natura dell’attività svolta e, nel caso di un sanitario, si richiede che lo stesso adoperi nel proprio agire prudenza, diligenza e perizia particolari, in considerazione dei beni fondamentali che vengono sottoposti alla sua attenzione.
Tra l’altro, in caso di affermata imprudenza, non trova neppure applicazione l’art. 2236 c.c., il quale prescrive una forma di limitazione della severità di giudizio.
In particolare, la Cassazione ritiene che “la limitazione della responsabilità professionale del medico ai soli casi di dolo o colpa grave a norma dell’art. 2236 c.c. si applica nelle sole ipotesi che presentino problemi tecnici di particolare difficoltà e, in ogni caso, tale limitazione di responsabilità attiene esclusivamente all’imperizia, non all’imprudenza e alla negligenza, con la conseguenza che risponde anche per colpa lieve il professionista che, nell’esecuzione di un intervento o di una terapia medica, provochi un danno per omissione di diligenza” (Corte di Cassazione, Sez. III, 19 aprile 2006 n. 9085).

Vendita con riserva di gradimento e vendita a prova: cosa sono?2019-02-18T13:17:05+00:00

La vendita di beni mobili può essere realizzata con riserva di gradimento (art. 1520 c.c.): in tal caso la vendita si perfeziona nel momento in cui il compratore comunica al venditore il suo gradimento in relazione al bene compravenduto.

Le parti possono stabilire un termine per la comunicazione del gradimento, mentre, in caso contrario, verrà stabilito secondo gli usi.

Ora, nel caso in cui la cosa si trovi presso il compratore e questi non si pronunci nel termine stabilito, la legge considererà come espresso il gradimento.

La vendita di beni mobili può essere fatta anche a prova: la vendita, in tal caso, è sottoposta a condizione sospensiva per permettere al compratore di verificare che la cosa abbia le qualità pattuite o sia idonea all’uso cui è destinata (art. 1521 c.c.).

Il compratore deve eseguire la prova nei termini stabiliti dal contratto o secondo gli usi.

In ultimo, limitatamente alla vendita a prova, la Cassazione insegna che essa “è caratterizzata dal fatto che le parti fanno dipendere l’efficacia del contratto dall’esito dell’accertamento, secondo le modalità stabilite dal contratto stesso o dagli usi, che la cosa abbia le qualità pattuite e sia esente da vizi ovvero sia idonea all’uso cui è destinata. Ne consegue che se l’esito è negativo la vendita si risolve automaticamente, senza necessità di fare ricorso alle norme sulla garanzia accordata al compratore per i vizi della cosa a lui venduta e con preclusione di qualsivoglia conservazione del contratto o riduzione del prezzo” (Corte di Cassazione, Sez. II, 29 gennaio 2003 n. 1318).

Balconi aggettanti e distanze legali2019-02-18T13:08:51+00:00

L’art. 9 del D.M. n. 1444/1968, il quale prescrive la distanza minima di 10 metri lineari tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, ha natura di norma di ordine pubblico.
Tuttavia il balcone aggettante può essere ricompreso nel computo della predetta distanza solo nel caso in cui una norma di piano particolareggiato lo preveda.
In termini generali e relativamente alle distanze, mentre rientrano nella categoria degli sporti, non computabili ai fini delle distanze, soltanto quegli elementi con funzione meramente ornamentale, di rifinitura od accessoria, come le mensole, le lesene, i cornicioni, le canalizzazioni di gronda e simili, costituiscono corpi di fabbrica, computabili nelle distanze fra costruzioni, le sporgenze di particolari proporzioni, come i balconi, costituite da solette aggettanti anche se scoperte, di apprezzabile profondità ed ampiezza.
E’ di particolare importanza un recente indirizzo giurisprudenziale relativo all’ipotesi di trasformazione del balcone in veranda: “il condomino che abbia trasformato il proprio balcone in veranda, elevandola sino alla soglia del balcone sovrastante, non è soggetto, rispetto a questa, all’osservanzadelle distanze prescritte dall’art. 907 c.c. nel caso in cui la veranda insista esattamente nell’area del balcone, senza debordare dal suo perimetro, in modo da non limitare la veduta in avanti e a piombo del proprietario del balcone sovrastante, giacché l’art. 907 c.c. citato non attribuisce a quest’ultimo la possibilità di esercitare dalla soletta o dal parapetto del suo balcone una “inspectio o prospectio” obliqua verso il basso e contemporaneamente verso l’interno della sottostante proprietà” (Corte di Cassazione, Sez. II, 11 luglio 2011 n. 15186).

Assenza del genitore: il figlio ha diritto al risarcimento del danno?2019-02-18T13:08:10+00:00

La domanda prende spunto da una serie di nuove pronunce di legittimità secondo le quali l’assenza di un genitore nella vita del figlio genera ripercussioni negative, tra cui scompensi affettivi e privazione di sostegno psicologico e guida, oltre ad inevitabili ricadute nella sfera della vita di relazione.
Pertanto, il danno, in mancanza di prova contraria, deve ritenersi sussistente e deve essere liquidato secondo il criterio equitativo, ai sensi degli articoli 1226 e 2056 c.c..
Inoltre, ritenuto che il diritto di ogni minore a crescere in seno alla propria famiglia e ad essere educato da entrambi i genitori in modo conveniente sono due diritti assoluti, incomprimibili e distinti, ma fra loro intimamente collegati, e ritenuto altresì che la nozione di educazione non può essere restrittivamente intesa come mero ammaestramento, dovendo essere identificata nella più ampia accezione di attività, di intenti e di condizioni che favoriscano il pieno sviluppo della personalità del minore, vale a dire di una personalità matura ed integrata nella società, il genitore che ometta deliberatamente di costituire per il figlio un modello parentale valido e fecondo sul piano educativo, deve risarcire ogni danno così arrecato anche quando il comportamento omissivo, costituente, peraltro, reato, non sia stato ritualmente accertato e sanzionato in sede penale.

Viaggio “tutto compreso”: il contratto deve avere la forma scritta?2019-02-18T13:17:36+00:00

Certamente!
Difatti l’art. 85 del Codice del Consumo recita testualmente: “Il contratto di vendita di pacchetti turistici è redatto in forma scritta in termini chiari e precisi. Al consumatore deve essere rilasciata una copia del contratto stipulato, sottoscritto o timbrato dall’organizzatore o venditore”.
Purtuttavia, se più persone intendono effettuare, negli stessi giorni, una vacanza insieme, raggiungendo la stessa località e pernottando negli stessi alberghi, non concludono tanti contratti distinti, ma un unico contratto; nella specie, le parti acquistano un unico pacchetto turistico, relativo a più persone, così che deve escludersi che ogni partecipante al viaggio debba apporre la propria sottoscrizione al contratto e alle condizioni generali che lo regolano (cfr. Corte di Cassazione, Sez. III, 03 novembre 2008 n. 26422).

Licenziamento: quali sono i casi in cui è vietato?2019-02-18T13:17:58+00:00

Il licenziamento da parte del datore di lavoro è effettivamente non consentito in determinate fattispecie.

Ad esempio, in caso di matrimonio della lavoratrice, il licenziamento non sarà mai consentito nel periodo intercorrente dal giorno della richiesta delle pubblicazioni fino ad un anno dopo la celebrazione del matrimonio; durante tale periodo sono altresì nulle le dimissioni della lavoratrice, salvo che siano personalmente confermate davanti la Direzione Provinciale del lavoro.

Sempre in merito alla lavoratrice, l’inibizione al licenziamento opera anche dall’inizio della gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino. Analogamente è nullo il licenziamento del lavoratore basato sulla domanda o sulla fruizione del congedo di paternità.

Vige inoltre il divieto di licenziamento in caso di infortunio o malattia professionale per tutto il periodo previsto dalla legge o dai contratti collettivi.

In caso di malattia generica, il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto per un periodo variabile in relazione all’anzianità di servizio e alla categoria di appartenenza.

Analogo divieto di licenziamento sussiste per i dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali, nonché per i candidati e e membri di commissione interna, per un anno dalla cessazione dell’incarico, così come per i lavoratori eletti a svolgere pubbliche funzioni.

In ultimo è vietato il licenziamento dei lavoratori che partecipano ad azioni di sciopero.

Regime patrimoniale: qual’è se i coniugi nulla hanno disposto?2019-02-18T13:06:16+00:00

In costanza di matrimonio, salvo diverso accordo tra i coniugi, il regime patrimoniale stabilito dalla legge è quello della comunione legale dei beni.

Tuttavia, il regime della comunione legale, per volontà concorde degli sposi, può essere opportunamente derogato al momento della celebrazione del matrimonio, con conseguente annotazione a margine dello stato civile che i coniugi hanno scelto il regime della separazione patrimoniale.

Una scelta analoga può essere fatta anche successivamente alla celebrazione del matrimonio, con atto avente la forma di atto pubblico (redatto cioè dinanzi ad un notaio).

Fanno parte della comunione tutti quei beni che sono stati acquistati congiuntamente o separatamente dai coniugi dopo il matrimonio.

Essi appartengono in parti uguali al marito ed alla moglie.

Questa disciplina di base è stata introdotta nel nostro ordinamento da moltissimi anni e, come è agevole desumere, è rimasta invariata, nonostante ad oggi sia cresciuto in maniera esponenziale il numero di coppie che decidono di optare per il diverso ed alternativo regime della separazione dei beni.

Cosa sono gli standard urbanistici?2019-02-18T13:05:12+00:00

Gli standard urbanistici sono regolati dal D.M. n. 1444/1968 e rappresentano la misura degli spazi pubblici, ossia gli spazi minimi che devono essere garantiti a ogni cittadino.
Per le attrezzature d’interesse locale, o di quartiere, il D.M. stabilisce che ogni cittadino ha diritto ad un minimo di 18 mq di spazio pubblico (9 mq di parchi pubblici, 4,5 mq di aree per l’istruzione, 2,5 mq di aree di parcheggio extra pertinenziale, 2 mq di aree adibite ad attrezzature di uso comune.

Volumi tecnici e vani tecnologici: quale è la differenza?2019-02-18T13:04:32+00:00

I volumi tecnici sono quei manufatti destinati ad ospitare impianti aventi un rapporto di strumentalità necessaria con l’utilizzazione dell’immobile (ossia, ad esempio, gli impianti idrici, gli impianti termici, gli ascensori e i macchinari in genere), nel mentre non possono rientrare in tale nozione i volumi che assolvano ad una funzione diversa, sia pur necessaria al godimento dell’edificio stesso e delle sue singole porzioni di proprietà individuale (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 4 marzo 2008 n. 918 e, più recentemente, anche Cons. Stato, Sez. IV, 8 febbraio 2011 n. 812) (C.d.S. 8 gennaio 2013 n. 32).
Diverso discorso per i vani tecnologici, nei quali vengono normalmente alloggiati gli impianti destinati a servizio dell’unità immobiliare o comunque dell’edificio cui servono.

Cosa fare quando il vicino realizza un abuso edilizio?2019-02-18T13:04:06+00:00

La giurisprudenza amministrativa ha più volte precisato che la strada percorribile da parte del cittadino che voglia denunciare un abuso edilizio perpetrato da parte del vicino sia duplice, ovverosia o agire giudizialmente o attivare il potere amministrativo.

In altri termini, nella materia in esame vige un sistema di doppia tutela per i soggetti che subiscono le conseguenze dell’attività edilizia altrui:

1) diretta, se viene promosso un ricorso giurisdizionale per ottenere l’annullamento del titolo edilizio ritenuto illegittimo;

2) indiretta, se i terzi preferiscono attivare il potere di autotutela dell’amministrazione, proteggendo i propri diritti nei limiti delle valutazioni sull’interesse pubblico svolte dagli uffici comunali.

Le due vie possono essere percorse cumulativamente o alternativamente, senza preclusioni, ferma restando la prevalenza delle statuizioni di annullamento o conformative contenute nell’eventuale sentenza del giudice amministrativo (T.A.R. Lombardia, Brescia, 17.06.2014 n. 657).

Si può aumentare l’intensità della servitù?2019-02-18T13:03:08+00:00

Incorre nel divieto di cui all’art. 1067, comma 1, c.c. (“il proprietario del fondo dominante non può fare innovazioni che rendano più gravosa la condizione del fondo servente) il proprietario del fondo dominante che effettui innalzamenti del livello del proprio immobile e determini una più facile, intensa e continua inspectio e prospectio sul fondo servente, attraverso un muro che, pur se invariato nell’altezza rispetto al cancello ed alla rete originari, abbia sostanzialmente modificato i luoghi per aver assunto una diversa configurazione e funzione.
Con questo principio i giudici del Palazzaccio tornano ad osservare che l’aggravamento dell’esercizio della servitù va verificato accertando se l’innovazione abbia alterato l’originario rapporto con il fondo servente e se il sacrificio sia diventato maggiore rispetto a quello precedente.

Telecamera per videosorveglianza del condomino: obbligo del cartello?2019-02-18T13:02:27+00:00

Se un condomino volesse installare una telecamera di videosorveglianza al di fuori della propria porta d’ingresso è tenuto ad esporre il cartello che avvisi della presenza del dispositivo?

La risposta è negativa in quanto, in questo caso, la videocamera viene utilizzata dal singolo condomino per scopi personali.

Per tale motivo non è sottoposta alla normativa a tutela della privacy che impone l’esposizione del cartello.

Diverso è il caso in cui sia l’intero Condominio a deliberare l’installazione della videocamera (risultando in tal caso applicabile l’art. 1122-ter c.c., a norma del quale l’installazione può essere deliberata dalla maggioranza dei partecipanti all’assemblea che rappresentino almeno la metà dei millesimi), risultando in questa evenienza necessario esporre il predetto cartello.

Il Garante della privacy ha avuto modo di precisare che la necessità di esporre il cartello sorge solo nel caso in cui le riprese siano effettuate dal Condominio per controllare le parti comuni e non nel caso in cui esse siano effettuate dai singoli condomini per scopi personali.

Va in ogni caso precisato che il condomino dovrà orientare l’occhio della telecamera in modo da riprendere esclusivamente lo spazio privato e/o quello direttamente antistante la soglia del proprio ingresso.

La patente è un documento di riconoscimento?2019-02-18T13:01:52+00:00

Sbagliano i Pubblici Ufficiali quando considerano la patente di guida un documento non valido per il riconoscimento, chiedendo al contrario l’esibizione del passaporto o della carta d’identità.
Infatti l’art. 35 del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa D.P.R. n. 445/2000 prevede che “sono equipollenti alla carta di identità il passaporto, la patente di guida, la patente nautica, il libretto di pensione, il patentino di abilitazione alla conduzione di impianti termici, il porto d’armi, le tessere di riconoscimento, purché munite di fotografia e di timbro o di altra segnatura equivalente, rilasciate da un amministrazione dello Stato”.
Peraltro il Ministero dell’Interno con la circolare M/2413/8 del 14.03.2000 ha confermato il principio appena enunciato anche per le più recenti patenti plastificate.

Messa in mora: come si redige l’atto?2019-02-18T09:48:08+00:00

Come è noto ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 2943 c.c. “La prescrizione è inoltre interrotta da ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore”.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in commento, ha osservato che in tema di interruzione della prescrizione, un atto, per avere efficacia interruttiva, deve contenere oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato (elemento soggettivo), l’esplicitazione di una pretesa e l’intimazione o la richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto, nei confronti del soggetto indicato, con l’effetto sostanziale di costituirlo in mora (elemento oggettivo).

Requisito quest’ultimo che non è soggetto a rigore di forme, all’infuori della scrittura, e, quindi, non richiede l’uso di formule solenni, né l’osservanza di particolari adempimenti, essendo sufficiente che il creditore manifesti chiaramente, con un qualsiasi scritto diretto al debitore e portato comunque a sua conoscenza, la volontà di ottenere dal medesimo il soddisfacimento del proprio diritto (Cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 3371 del 12/02/2010; id. Sez. 2, Sentenza n. 24656 del 3/12/2010), essendo sufficiente a tal fine la mera comunicazione del fatto costitutivo della pretesa (cfr. Corte Cass. Sez. L, Sentenza n. 24054 del 25/11/2015)”.

Infiltrazioni: risarcimento o opere? Decide il danneggiante?2019-02-18T09:45:04+00:00

Nel caso in cui si siano subite delle infiltrazioni di acqua per causa imputabile al vicino, il più delle volte il condomino del piano sovrastante, è quest’ultimo che decide come risolvere la questione? E cioè se pagare o adoperarsi con una ditta di sua fiducia per rimuovere la causa genetica e ripristinare il tutto?

Risposta negativa

Il danno va sempre risarcito corrispondendo una somma di denaro oppure mediante un risarcimento consistente nella rimozione materiale del pregiudizio subito (risarcimento in forma specifica), ma la scelta spetta al danneggiato.

Il risarcimento in forma specifica è previsto dall’art. 2058 c.c., ai sensi del quale è il danneggiato a poter domandare la reintegrazione in forma specifica, quando ciò sia in tutto o in parte possibile, ma questa è una prerogativa di chi subisce il danno.

Peraltro, ai sensi del secondo comma, qualora la reintegrazione in forma specifica risultasse eccessivamente onerosa per il danneggiante, allora sarà il giudice (in caso di contenzioso) a disporre quella per equivalente, ovverosia attraverso corresponsione di una somma di denaro).

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