L’art. 9 del D.M. n. 1444/1968, il quale prescrive la distanza minima di 10 metri lineari tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, ha natura di norma di ordine pubblico.
Tuttavia il balcone aggettante può essere ricompreso nel computo della predetta distanza solo nel caso in cui una norma di piano particolareggiato lo preveda.
In termini generali e relativamente alle distanze, mentre rientrano nella categoria degli sporti, non computabili ai fini delle distanze, soltanto quegli elementi con funzione meramente ornamentale, di rifinitura od accessoria, come le mensole, le lesene, i cornicioni, le canalizzazioni di gronda e simili, costituiscono corpi di fabbrica, computabili nelle distanze fra costruzioni, le sporgenze di particolari proporzioni, come i balconi, costituite da solette aggettanti anche se scoperte, di apprezzabile profondità ed ampiezza.
E’ di particolare importanza un recente indirizzo giurisprudenziale relativo all’ipotesi di trasformazione del balcone in veranda: “il condomino che abbia trasformato il proprio balcone in veranda, elevandola sino alla soglia del balcone sovrastante, non è soggetto, rispetto a questa, all’osservanzadelle distanze prescritte dall’art. 907 c.c. nel caso in cui la veranda insista esattamente nell’area del balcone, senza debordare dal suo perimetro, in modo da non limitare la veduta in avanti e a piombo del proprietario del balcone sovrastante, giacché l’art. 907 c.c. citato non attribuisce a quest’ultimo la possibilità di esercitare dalla soletta o dal parapetto del suo balcone una “inspectio o prospectio” obliqua verso il basso e contemporaneamente verso l’interno della sottostante proprietà” (Corte di Cassazione, Sez. II, 11 luglio 2011 n. 15186).