Con la nota sentenza delle Sezioni Unite n. 24418/2010 si è affermato che: “L’azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Infatti, nell’anzidetta ipotesi ciascun versamento non configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, giacchè il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte del “solvens” con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell’ “accipiens” (Cass. SS.UU, n. 24418/2010, vedi da ultimo Cass., n. 24418/2014).

L’onere prova

Circa l’onere prova in ordine alla natura rispristinatoria o solutoria del pagamento, possono essere richiamati i principi espressi dal Trib. di Mantova con la sentenza 3.5.2014,: “Circa l’operatività della prescrizione della domanda di ripetizione dei pagamenti indebiti nei rapporti bancari, se viene dedotto e provato che il conto corrente è assistito da apertura di credito, i versamenti eseguiti non costituiscono pagamento se non al momento della chiusura del rapporto, quando il correntista restituisce alla Banca gli importi utilizzati, per cui l’eventuale azione di ripetizione d’indebito può essere esercitata solo in un momento successivo alla chiusura del conto, e solo da quel momento comincerà a decorrere il relativo termine di prescrizione.
Nei rapporti bancari, se la banca eccepisce la prescrizione della domanda di ripetizione di indebito e il correntista a sua volta eccepisce la sussistenza tra le parti di un contratto di apertura di credito ma la prova circa l’esistenza dei contratto di apertura di credito non è fornita, i versamenti effettuati da parte del correntista nel corso del rapporto non possono che essere considerati pagamenti, con conseguente decorrenza del termine prescrizionale dell’azione di ripetizione di indebito dalla data delle singole operazioni.
Con il contratto di conto corrente la Banca si impegna unicamente ad offrire al cliente un servizio di cassa nell’utilizzo della provvista propria del cliente, ovvero a provvedere per conto del medesimo a pagamenti e riscossioni, e non a mettere disposizione denaro in favore del correntista. Se il conto corrente è a debito e non è assistito da apertura di credito la natura ripristinatoria della provvista deve di regola essere esclusa, stante l’obbligo di restituzione di quanto utilizzato che fa capo al correntista.

La prova

La prova circa la sussistenza di un’apertura di credito incombe, per regola generale (art.2697 c.c.), su chi intende far valere l’esistenza di tale contratto, al fine di trarne le conseguenze a sé favorevoli e paralizzare così l’eccezione di prescrizione svolta.
Al fine di valutare la natura solutoria o ripristinatoria delle rimesse in conto corrente non costituisce prova della sussistenza di un’apertura di credito la presenza costante di saldi passivi negli estratti conto o la presenza di addebiti in conto per spese di gestione fido, non consentendo tali elementi di valutare l’ammontare e l’epoca degli affidamenti, in maniera tale da accertare se i versamenti siano stati effettuati su conto passivo o su conto scoperto, in quanto recante un passivo tale da risultare comunque eccedente i limiti dell’affidamento”.
In particolare, deve ritenersi che l’esistenza di una apertura di credito non possa considerarsi provata dalla richiesta di affidamento, qualora questa risulti priva della sottoscrizione dell’istituto di credito; come è noto, infatti, l’art. 117 TUB prevede per i contratti bancari l’obbligo di forma scritta a pena di nullità.
E’ vero che, ai sensi del secondo comma del richiamato art. 117, “il CICR può prevedere che, per motivate ragioni tecniche, particolari contratti possano essere stipulati in altra forma” e che, dal 1992 ad oggi, le disposizioni della Banca d’Italia, a tanto autorizzata dal CICR, hanno sempre previsto, pur nel variare dei testi normativi, che non fosse richiesta la forma scritta per i contratti relativi ad operazioni e servizi già previsti in contratti redatti per iscritto, tra cui il contratto di conto corrente, in base alla considerazione che costituisce sufficiente garanzia per il cliente che il contenuto normativo del contratto sia redatto per iscritto (vedi Cass., n. 14470/2005).
Qualora, tuttavia, il contratto di conto corrente stipulato tra le parti contenga esclusivamente previsioni generiche e non regoli le condizioni economiche di eventuali future aperture di credito (importo del fido, i tassi pattuiti, ecc.) deve ritenersi che, non sussistendo i presupposti richiesti dall’art. 117, secondo comma TUB per la deroga all’obbligo di forma scritta, il conto corrente in questione non sia affidato.

 

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